Ogni cosa, in fondo, ha un valore politico, rappresentando, evidentemente, un modo di essere e, quindi, una filosofia di vita che si esprime in comportamenti quotidiani che si configurano come veri e propri “programmi politici”: quante volte ci troviamo a discutere di migranti, di tasse, di rispetto dell’ambiente, di ordine pubblico, di lavoro, di Ucraina e Russia, etc etc., magari esprimendo idee opposte a quelle del nostro interlocutore.
Ma la politica, a sua volta, è tante cose insieme: prima di tutto, certo, compromesso, ma anche rigore, di parole spesso sopra le righe, ma anche di understatement, di sogni ma anche di consapevolezza e di presa di coscienza. E anche di spettacolo.
Ci sono Paesi in cui lo “show-business” ha un ruolo ben più importante che in altri: e tra questi chi se non gli USA ne sono la migliore rappresentazione?
Da sempre Hollywood, intendendo l’industria cinematografica americana (in primis le majors e i produttori, ma le stars non sono seconde a nessuno) ha avuto un ruolo determinante per l’elezione del Presidente: non solo per la capacità di indirizzare il voto (gli attori hollywoodiani sono veri e propri “influencer”), ma forse ancor di più per la capacità di raccolta fondi, aspetto fondamentale per aspirare alla Casa Bianca.
la lettera di George Clooney, “fervente” democratico, pubblicata dal New York Times (la principale testata giornalistica americana, dopo il clamoroso “flop” televisivo di Biden, si era espressa senza mezzi termini nei suo confronti, invitandolo ad abbandonare la corsa) segna, probabilmente, il “capolinea” per il Presidente uscente: se uno dei volti cinematografici più noti al mondo prende carta e penna e mette nero su bianco, in maniera inequivocabile, l’invito a ritirarsi, evidentemente, non lo fa “tanto per”, rappresentando quasi certamente , un’industria che, nonostante i tanti scandali, rimane tra le più importanti e influenti nel panorama americano. Una scelta che, non casualmente, arriva dopo che proprio nei giorni scorsi lo stesso Biden aveva con forza ribadito la sua volontà a continuare, rimarcando come le sue condizioni di salute non sono così precarie e, anzi, dicendosi in perfetta forma.
L’evidenza, però, sembra essere un’altra. E la perentorietà delle parole di Clooney lasciano poco spazio all’immaginazione, con i toni di un vero e proprio “time out”.
Facile ritenere che più d’uno tra i miliardari finanziatori del candidato Presidente, magari ancora dubbiosi se sostenerlo ancora o meno, facciano un passo indietro: e senza i (tanti) milioni che erano in grado di assicurare, la già difficile battaglia contro Trump diventa impossibile.
A questo punto la lotta contro il tempo (non riferita a quella di Biden contro l’età: come scrive Clooney, (Biden) “negli ultimi anni ha vinto molte delle battaglie che ha dovuto affrontare. Ma l’unica che non può vincere è quella contro il tempo”) diventa non più rinviabile. Neanche 4 mesi separano gli americani dal “d-day” (5 novembre) e tra qualche settimana si svolgerà la Convention democratica in cui verrà ufficializzato lo sfidante di Trump (il cui vantaggio, nei sondaggi – e i sondaggi americani sono un più attendibili di quelli francesi…. – , si sta facendo ogni giorno più ampio).
Scelta, peraltro, non semplice quella che i democratici dovranno affrontare: individuare il “candidato giusto” non sarà una “passeggiata di salute”. Il rischio di farlo apparire come un ripiego è ben più di un’ipotesi e la paura di “bruciarsi” potrebbe allontanare qualcuno: perché iniziare la corsa ora, a pochissimi mesi dal voto e con un gap difficile da colmare, e non pensare già alle Presidenziali del 2028? Questo il ragionamento che potrebbe farsi largo tra “gli uomini del Presidente”, abbandonandolo, di fatto, al suo destino. Resta da vedere se la “moral suasion” dell’attore americano riuscirà là dove, fin’ora, non sono riusciti gli inviti degli “addetti ai lavori”.
Ieri sera, manco a dirlo, ennesimo record a Wall Street, con tutti gli indici in rialzo: Dow Jones + 1,09%, idem il Nasdaq, S&P 500 + 1,02%.
E questa mattina l’Asia non vuole essere da meno.
A Tokyo il Nikkei fa registrare + 1,18%, a 42.331 punti, nuovo massimo.
A Hong Kong l’Hang Seng sale dell’1,82%, con l’indice Tech a + 2,1%.
Bene anche Shanghai, a + 0,92%.
Rialzi diffusi anche sulle altre piazze: Taiwan + 1,6%, Seul + 0,7%.
Oggi sono in arrivo i dati sull’inflazione Usa, che dovrebbe attestarsi intorno al 3% verso il 3,3% di maggio.
Frazionalmente negativi i futures Usa, mentre quelli europei appaiono più tonici, con rialzi intorno allo 0,20/0,25%.
Significativa crescita per il petrolio, con il WTI che si porta a % 82,75 (+ 0,68%).
Gas naturale Usa a $ 2,335 (+ 0,09%).
Oro a $ 2.387, + 0,24%.
Spread in forte calo, a 130,8 bp.
BTP a 3,86%.
Bund a 2,54%
Treasury USA a 4.29%.
€/$ a 1,0838.
Nuovamente nell’anonimato il bitcoin, ritornato sotto i $ 58.000 (57.918).
Ps: futuro incerto. Così si potrebbe definire quello che attende l’auto elettrica. Quello che sembrava ineluttabile, oggi lo è un po’ meno, come i numeri di Volkswagen (secondo produttore automotive al mondo dopo la Toyota) ci confermano. Il margine operativo è previsto in diminuzione, passando dal 7-7,5% al 6,5-7%. Ma, soprattutto, si prevedono 2.600 licenziamenti entro il 2025 nella linea produttiva dei Suv elettrici, con un impatto che potrebbe arrivare sino a € 2.6 MD sull’utile operativo del 2024. Peraltro, forse la cosa più preoccupante è quella che emerge da uno studio di McKinsey, secondo cui solo il 18% dei consumatori al mondo desidera una macchina elettrica come prossima vettura. Per non parlare di un altro studio, quello di AlixPartners, forse ancora più critico: se fino a poco tempo fa si prevedeva che la penetrazione delle auto Bev (Battery Electric Vehicles) sarebbe stata, nel 2030, del 50%, per arrivare, nel 2035, all’87%, oggi le nuove stime parlando rispettivamente di 30% e 50%, ben il 43%, mediamente, in meno.